In fuga dalla devastazione

Le migrazioni sono senz’ombra di dubbio una delle grandi problematiche con cui la società moderna deve fare i conti ogni giorno. I dati dell’UNHCR parlano chiaro: il numero di migranti forzati cresce di anno in anno, raggiungendo nel 2017 i 68,5 milioni. Questo significa che una persona su 110 nel mondo è rifugiato, richiedente asilo o sfollato interno. Sebbene i riflettori siano sempre puntati sulle difficoltà nella gestione dei rifugiati in Europa, in realtà l’85% dei migranti forzati del mondo vive nei paesi in via di sviluppo, che si trovano quindi ad affrontare ondate migratorie di ben altra portata rispetto a quelle che ci interessano direttamente.

Il collegamento tra fenomeni migratori e cambiamento climatico non è purtroppo sempre immediato. In particolare in Italia vediamo come la retorica politica sfrutti all’esasperazione la questione delle migrazioni per portare avanti una propaganda basata su paura e odio, con l’unico scopo di acquisire consenso e certo non per cercare di risolvere un problema che si sta dimostrando uno dei più critici dell’epoca moderna.

Ammettere questa correlazione e fare una riflessione al riguardo vorrebbe dire riconoscerci come causa fondamentale di una buona percentuale di ondate migratorie forzate, in quanto è il nostro sistema economico, basato sullo sfruttamento del territorio e delle risorse, ad aver portato ad una crisi climatica tanto grave. La classe politica probabilmente non avrà mai il coraggio di fare un’operazione del genere, poiché farebbe saltare quel ruolo di vittime che ci attribuisce nell’affrontare il tema dei migranti e che porta consenso.

È invece secondo noi fondamentale un’analisi seria e approfondita del problema e una presa di coscienza del fatto che non ne siamo semplici spettatori, ma parte integrante.

Degrado e devastazione ambientale giocano un ruolo sempre più importante tra i fattori determinanti della migrazione: nel 2017, secondo il Centro per il monitoraggio degli sfollati interni, su 30,6 milioni di persone sfollate all’interno del proprio paese, ben 18,8 milioni sono stati costrette ad abbandonare la loro casa a causa di disastri ambientali. Le conseguenze del cambiamento climatico hanno un peso sempre più rilevante sulla vita e sulle attività delle popolazioni più vulnerabili del mondo: eventi climatici improvvisi e violenti – quali terremoti, tsunami, alluvioni – ma anche stress ambientali a manifestazione lenta come siccità e desertificazione colpiscono a livello economico principalmente i paesi in via di sviluppo.

La maggior parte dei flussi migratori proviene infatti dalle aree rurali del Sud del mondo, aree in cui la popolazione è più esposta alle pressioni ambientali e il cui reddito è spesso completamente basato sulle attività agricole. Secondo la rivista Science, c’è già un rapporto tra l’aumento delle richieste d’asilo e le variazioni climatiche: nel recente passato (2000-2014) i cambiamenti climatici in 143 Paesi hanno comportato 351.000 richieste d’asilo in più.

Un ruolo fondamentale lo hanno poi le grandi imprese occidentali coinvolte in progetti estrattivi, produttivi o infrastrutturali, progetti che devastano il territorio e molto spesso distruggono l’economia locale, forzando in questo modo la popolazione a fuggire dalla propria terra.

Qui si apre dunque una grande contraddizione: queste grandi imprese (come ENI in Italia, di cui abbiamo parlato nell’approfondimento Keep It In The Ground), che hanno sede negli stessi Paesi in cui vengono attuate queste politiche repressive e intolleranti, allo stesso tempo hanno responsabilità non indifferenti nello sfruttamento di territorio e popolazioni nei paesi in via di sviluppo e sono quindi causa integrante del fenomeno migratorio.

Se gli effetti del cambiamento climatico sul fenomeno migratorio sono già evidenti, in futuro le conseguenze dell’innalzamento delle temperature saranno ancora più devastanti per l’uomo.

Infatti, se non si prendono provvedimenti per contenere il riscaldamento globale e limitarlo a 2° (secondo molti scienziati non sarebbe però ancora sufficiente per evitare rischi importanti per l’umanità), il numero di persone costrette a abbandonare le proprie case per i fenomeni meteorologici estremi e la devastazione ambientale saranno 143 milioni, in particolare in tre aree del mondo: Asia, Africa Sub-Sahariana e America Latina. 280 milioni sono invece le persone che abitano in zone che saranno sommerse in caso di un innalzamento delle temperature di 2°, mentre più di 2 miliardi soffriranno di malnutrizione nel 2030.

Non solo i paesi in via di sviluppo saranno colpiti da questi fenomeni. Anche l’Europa dovrà affrontare alluvioni ed esondazioni de corsi d’acqua che coinvolgeranno più di 650mila persone l’anno, per un costo di 15 miliardi di euro annui.

Neppure in Italia ci salveremo: sono 33 le zone costiere a rischio, soprattutto tra Trieste e Ravenna. Vedremo così accentuato il fenomeno delle migrazioni interne anche nel nostro Paese, fenomeno che già ci colpisce più di tutti i Paesi Europei. Sono infatti 31 su 1000 gli italiani che hanno dovuto abbandonare la propria terra a causa di calamità sempre più intense e devastanti come terremoti e inondazioni.

La battaglia climatica si intreccia dunque inevitabilmente con i diritti delle persone migranti, che sempre più spesso scappano dai disastri ambientali, dalle desertificazioni e dalle alluvioni di territori che diventano inabitabili. Siamo di fronte ad una crisi socio-ambientale, cambiamento climatico e fenomeno migratorio sono temi che vanno affrontati insieme, consapevoli che la terra su cui abitiamo è solo una e che il cambiamento climatico non bada al ceto sociale o al luogo di provenienza delle persone che colpisce.

I disastri ambientali che si stanno verificando in tutto il mondo sono, ancora una volta, colpa del capitalismo e del sistema produttivo che sfrutta persone e risorse. Noi studenti e studentesse di Fridays For Future vogliamo che si ponga fine a questo sistema tossico e malato, per questo scenderemo in piazza e faremo sentire la nostra voce insieme ai ragazzi e alle ragazze di tutto il mondo il 24 maggio.